Storia di Ásta
“Ma com’è possibile raccontare la storia di una persona senza toccare anche le vite che la circondano, l’atmosfera che sostiene il cielo – e soprattutto, è legittimo farlo?”
La storia di uno è immancabilmente la storia degli altri. Come si può pensare di scrivere su carta un’intera esistenza, abbandonare la cronologia temporale e lasciarsi trasportare dalla corrente delle emozioni? Il narratore sa bene che si tratta di un’impresa rischiosa e probabilmente sbagliata, ma “ senza errori, è ovvio, non c’è vita”.
È su questo pensiero che si costruisce la storia di Ásta, etimologia di un nome che è un inno all’amore puro, come quello provato tra Helga e Sigvaldi in quel piccolo appartamento di Reykjavík che resiste alle dinamiche economico-politiche del tempo.
Pochissime pagine che volano via come spazzate da una tempesta che ci scaraventano, all’improvviso, tra le righe di una lettera di Ásta indirizzata a un amore ancora sconosciuto.
Da questo momento in poi, la narrazione segue il libero flusso dei ricordi lasciando spazio all’urgenza di raccontare le emozioni attraverso diversi salti temporali.
È stato come ritrovarsi davanti a un puzzle, composto da dettagli e informazioni che, seppur a fatica, si incastrano perfettamente delineando i personaggi in tutta la loro complessità, fragilità e follia.
È così che Stefansson ci racconta la storia di Ásta, toccando e scontrandosi con tutti coloro i quali hanno fatto parte della sua esistenza – la madre Helga, folle e indomita, il padre Sigvaldi, steso sull’asfalto coi suoi ricordi e i suoi tormenti, l’anziana Kristin che si risveglia in epoche passate e infine Josef “l’unico che non ha mai perso la poesia”.
In un andirivieni tra passato e presente, in una lettera d’amore, nei dialoghi tra Sigvaldi e il fratello poeta – “Gli vado a chiedere la sua opinione su come va il mondo, mi sono detto lungo la strada. Gli scrittori devono avere un punto di vista originale: non ti sembra che vada tutto allo sfascio, nel mondo?”, leggiamo la storia di una donna che corre con urgenza verso la felicità, verso il senso della vita, lasciandosi alle spalle la sua incapacità d’amare.
Storia di Ásta racconta l’urgenza di trovare una felicità che sfugge.
“Dov’è la mia felicità, l’hai vista qui in giro? Si nasconde sotto il letto?” l’incessante bisogno di amore che riempie la vita di tutti i personaggi che oscillano, come un pendolo, tra speranze e disillusioni.
Stefansson ci consegna un romanzo corale di rara bellezza e intensità, nel quale è necessario il coinvolgimento di tutti per dar vita al colorato mosaico dell’esistenza di Asta che invecchia tra rimpianti e chimere.
È solo allora che ci commuoveremo di fronte a quella lettera spedita dagli abissi ove riposano amore e giovinezza.
“A volte pare che un’unica strada porti alla felicità e alla disperazione – ma a parte questo, va tutto bene, no?”
Tra le note di Nina Simone e Leonard Cohen, stringeremo piano le “mani di burro” di una giovane Asta, carezzeremo le parole di Stefansson, riconosceremo la forza creatrice e al contempo distruttiva della poesia, metafora della vita.
“Per questo la vita è incomprensibile. È dolore. È tragedia. È la forza che ci fa risplendere”.
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