Recensione | Fisica della malinconia
Il libro non è arrivato in tempo per il mio viaggio a Sofia. Così ho dovuto
leggerlo una volta rientrata a casa, mentre negli occhi portavo ancora le
immagini e gli odori di questa splendida città dell’Europa dell’est.
In Fisica della malinconia non troviamo la Bulgaria come protagonista, né
comunismo o politica; tanto meno una trama vera e propria. Bensì un insieme di
vicende che si incastrano tra loro.
<< Non sono in grado di proporre un racconto lineare, perché nessun labirinto e nessuna storia è lineare>> .
Ed è proprio dal labirinto che parte il nostro viaggio nelle pagine di
Gospodinov e nella natura umana. Incontriamo il padrone indiscusso del
labirinto che si rivela nelle prime pagine come un bambino nato deforme e
esposto in un circo come il Minotauro.
È l’empatia del giovane protagonista il tema centrale dell’intera opera.
Georgie ne è affetto e questo lo fa immedesimare nelle vite degli altri: è suo
nonno bambino abbandonato dalla madre, è suo padre, è il nonno ormai anziano
che mangia la lumaca e la lumaca che viene mangiata.
Ed è il Minotauro. E occorre una grande sensibilità per dar voce, dopo secoli
di mitologico silenzio, a quello che è divenuto un mostro nell’immaginario
collettivo. Ma del resto, che colpa ne ha il Minotauro se è nato deforme per
punire la madre Pasifae? È solo un innocente rinchiuso nel buio e che soffre
per essere stato abbandonato.
<< Non importa se il libro dice che è un mostro. Sono stato in lui e
conosco tutta la storia. C’è alla base un grande peccato e una calunnia, una
straordinaria ingiustizia. Io sono il Minotauro e non sono assetato di sangue,
non voglio divorare sette giovani e sette fanciulle ogni volta, non so perché
sono rinchiuso, non ho alcuna colpa >>.
È forte l’empatia del nostro Georgie, la quale però diminuisce con l’aumentare
dei suoi anni, affievolita dalla malinconia. E cosa può fare allora?
Comprare le storie. Conservare tutto ciò che è effimero per preservarlo dalla
morte. Perché se è vero che la Morte colpisce tutti, si può però conservare una
parte di tempo e scrivere di essa.
Ecco quindi che la scrittura è salvifica, può sconfiggere il tempo. Conservare
i ricordi per le future generazioni affinché possano sapere ciò che è stato.
Tutto ciò fa del nostro protagonista un collezionista di storie. Così mi piace
chiamarlo.
E Gospodinov scrive passando dalla prima alla terza persona anche nello stesso
paragrafo. Perché l’io interno e l’io esterno, fatto di materia, sono la stessa
persona ma con punti di vista differenti.
Ciò potrebbe alienare il lettore e confonderlo. Ma questo non avviene perché
l’autore ci porta per mano, non ci abbandona. Noi siamo lui. Lui è noi. È
inevitabile.
La narrazione è scorrevole e si passa facilmente da una storia all’altra e da
un tempo all’altro.
L’incipit e l’epilogo sono di sicuro effetto.
“Io siamo” apre l’opera, “Io fummo” la conclude. Perché
siamo uno e altri. Siamo quel passato sfacciato e il futuro nostalgico. Siamo
quel Minotauro abbandonato e solo che è chiuso dentro ognuno di noi.
Ho letto Gospodinov con estremo ritardo e ringrazio la mia voglia di viaggiare che mi fa scoprire luoghi ignoti e autori di cui ignoravo l’esistenza.
Perché Fisica della malinconia è un libro che va letto. È fatto d’anima. È un’onda gigantesca che ti si schianta addosso e ti fa affogare nella memoria del singolo fatta di memorie collettive. È contenitore di bellezze e indagatore dell’io più remoto. È quel mondo che ti fa male al corpo. Che ti lascia solo trasformandoti in un vagabondo nell’autunno del mondo.
<< Il passato, la malinconia e la letteratura- sono queste le tre balene senza alcun peso che mi interessano>>.
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