Kallocaina, il distopico di Karin Boye
La prima domanda che mi sono posta dopo aver letto Kallocaina, il distopico di Karin Boye, edito Iperborea, è stata la seguente:
“Quando i cittadini sono davvero liberi?”
La risposta è che molto probabilmente la libertà dipende dal controllo che ogni governo impone. Lo si comprende dopo questa lettura.
Di questo tema se ne è già parlato con altri distopici di spessore quali “1984” di Orwell e “Il mondo nuovo” di Huxley che nonostante siano stati scritti molti anni fa, si collocano perfettamente nell’epoca attuale. Tra questi baluardi della distopia, però, si pone a buona ragione anche Kallocaina, la cui pubblicazione precede addirittura il libro di Orwell.
Per parlarvi di questo libro, devo però spendere due righe sulla vita dell’autrice, premessa utile per comprendere lo stato in cui si trovava la Boye durante la stesura del romanzo.
Kallocaina è stato scritto nel 1940 dalla svedese Karin Boye la quale, a ventidue anni, aveva già pubblicato la sua prima raccolta di poesie. Qualche anno dopo militerà nel movimento socialista “Clartè”, fondato sui valori pacifisti.
Durante questo impegno civile conosce l’uomo che sarebbe diventato suo marito con il quale il rapporto naufragherà molto presto in quanto ella stessa si rende conto di essere bisessuale.
A quei tempi, in Svezia, l’omosessualità era considerata un reato. Così Karin viaggerà moltissimo tra le varie capitali europee. Durante la sua permanenza a Berlino si sottopone a una terapia di psicanalisi e proprio in questi anni conoscerà Margot Hanel la quale le starà accanto fino alla fine della sua vita. La morte, purtroppo, non tardò ad arrivare.
A un anno dalla pubblicazione di Kallocaina, non avendo mai superato le proprie crisi esistenziali, Karin Boye si toglie la vita ingerendo dei sonniferi. È il 1941, lo stesso anno in cui si tolse la vita anche Virginia Woolf.
Dopo questa breve premessa, vi lasco trama e impressioni del libro.
Leo Kall è prigioniero da oltre vent’anni, anni durante i quali, scrive un diario. Le pagine raccontano la vita nella città Chimica sotterranea dello Stato Mondiale.
In una città governata dallo Stato Mondiale, l’individualità è stata a esso assoggettata. dominandone ogni sfera e riducendo a zero i diritti e le libertà dei cittadini.
I figli, sin da piccoli, vengono sottratti alla famiglia per essere educati al sacrificio “individuale”, in nome della “collettività”. Le donne hanno l’unico dovere di mettere al mondo figli maschi che diventeranno i soldati dell’apparato governativo.
In un mondo privo di libertà, Leo Kall, inventa la kallocaina: un siero che, iniettato, porta il soggetto a dire la verità. Uno strumento utile alla polizia per stanare quei cuori ribelli che in società mostrano il volto migliore e dentro nascondono quello naturale dell’autodeterminazione.
Tutte le convinzioni di Leo Kall iniziano a vacillare man mano che ascolta sempre più persone dire la loro personale verità. Quelle voci, stranamente calme, fanno emergere una verità assoluta alla quale il dottore arriva dopo qualche tempo.
Nel momento stesso in cui inizia a porsi delle domande, la sua cieca fiducia nello Stato, inizia a vacillare.
“Sapevo che era una maniera falsa e malsana di vedere le cose, e cercavo di convincermene con ogni possibile argomento. ma quel vuoto che sentivo ingrandirsi come un deserto dentro di me, non aveva altro nome che mancanza di senso”.
L’io dei personaggi è ben delineato. Sottoposti al siero, le esternazioni diventano un flusso di coscienza che si riversa in un’unica grande verità: l’insaziabile sete di libertà.
La voce del singolo diventa quindi un coro unico; i mille volti e cuori, pezzi di un grande mosaico nel quale si intravede il colore della speranza: l’unica in grado di non perire e che mai potrà divenire serva di un potere malato.
Karin Boye ci consegna un libro capace di penetrare l’animo umano e facendo ciò, riesce a dar vita a uno scontro tra l’accettazione passiva delle imposizioni e il rifiuto verso le scelte totalizzanti del governo.
Kallocaina è il libro che andrebbe letto per tenere sempre come monito che la verità DEVE sfuggire a ogni possibile strumentalizzazione per poterci davvero definire liberi.
“Siete capaci di ascoltare la verità, voi? La cosa triste è che non tutti sono abbastanza veri da poter sentire la verità”.
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