Pubblicati da Cristina

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La ragazza del Kyushu | Matsumoto Seicho

La ragazza del Kyushu | Matsumoto Seicho

Un libro che avevo da tempo in libreria, nella pila della vergogna e che finalmente grazie al mio fioretto #noncomprolibri ho potuto leggere e amare.

La trama è quella investigativa, ben strutturata e con un finale a sorpresa.

La giovane Kiriko giunse a Tokyo dalla lontana K. portando i suoi pochi risparmi con sé, affinché un noto avvocato della capitale potesse difendere il fratello che rischiava la pena di morte per omicidio. Non vi dirò di più, ma vi dirò che il romanzo di Seicho oltrepassa i confini del giallo scandagliando a fondo i sentimenti dell’animo umano e donandoci uno spaccato della società giapponese e di tutte le sue contraddizioni.

È una fotografia della vendetta, del rimorso, della colpa.

Un romanzo che potrebbe essere dei giorni nostri ma che in verità venne pubblicato nel 1960.

208 pagine che vi terranno incollati dall’inizio alla fine.

Empatizzerete con Kiriko, rifletterete sulle condizioni della povertà e l’incapacità della classe sociale elevata di fermarsi e ascoltare chi ha più bisogno.

Il rimorso serve a poco.

Il viaggio in treno di Kiriko è metafora di cambiamento: un giglio che sboccia, forte come l’acciaio che diviene una donna forte, determinata e astuta.

La penna di Matsumoto Seicho è magistrale. Le sue descrizioni sono dei veri e propri dipinti che incarnano la cultura giapponese vera . La scrittura è chiara, mai pesante e Seicho è attento a tutti i dettagli utili all’indagine. Non a casa è stato paragonato a Simenon.

Un romanzo che consiglio agli amanti del noir e della cultura giapponese

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La rampicante | D. Grittani

La rampicante | D. Grittani

“La rampicante” è una scatola che racchiude dentro l’esistenza. Bisogna aprirla e tirare fuori lentamente, pezzo dopo pezzo, tutto ciò che la vita contiene.

Teniamo tra le mani Riccardo che ha scoperto, per puro caso, di essere stato adottato da Giovanna e Sor Cesare Graziosi e che l’unica vera Graziosi, è la sorella Isabella, meschina tanto quanto il padre, convinto di poter comprare gli affetti. Inconsapevole che ci sono cose a cui il denaro non può arrivare.

Troviamo Sara, quella che diventerà la moglie di Riccardo: un’infermiera pratica e sicura come un albero dalle radici profonde.

Compaiono, una accanto all’altra le figure di Costanza, “la scema” e Edera, la figlia della scema.

“Edera, perché questa rampicante conserva meglio di qualsiasi altro vegetale le tracce della fatalità. Risorge se la estirpano, ricresce se la tagliano, reagisce se la umiliano. S’aggrappa dove può, un po’ come la vita”.

E infine c’è un ragazzo, morto in un incidente stradale, che, attraverso la donazione dei suoi organi, salverà la vita di nove persone.

Si intrecciano le vite dei personaggi, vicini e lontani; germogliano, crescono, alcune cessano di essere, altre rifioriscono dopo un freddo inverno.

Sullo sfondo, le Marche: terra di cui non si può fare a meno, che stringe forte al petto e alla quale si farà ritorno. Le Marche tengono tutto unito. Non crollano su sé stesse nemmeno dopo il terremoto, imparando a vivere tra le crepe e a scorgervi la luce.

Perché è di questo che si tratta: dell’incapacità di cogliere il bello. Scordiamo il miracolo della vita, e non pensiamo mai che l’equilibrio del mondo, delle volte, si basa sulla rinascita di qualcuno e la morte di un altro.

È questo che il libro insegna. Ti insegna la vita che ti si attacca addosso, forte come Edera, la bambina bionda e cicciottella che sente le voci nella testa. Capace di scuoterti come un terremoto. È come la vita che scalcia appropriandosi di ciò che è suo: l’esistenza. E Edera insegnerà ad andare oltre, a riflettere a porti le domande e a trovare le risposte giuste. E quelle, solo l’esperienza le porta con sé.

La rampicante è un libro per la vita, sulla vita. Ci ricorda quanto prezioso sia questo dono, quanto importante sia il tema della donazione degli organi (spesso dimenticato). È un libro di rinascita, pagine che sanno di primavera. Proprio come quei fiori che, fregandosene della neve e dell’asfalto, fioriscono vivaci, fino alla fine.

Nonostante la fine.

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Gli inconsolabili | Kazuo Ishiguro

Gli inconsolabili | Kazuo Ishiguro

Sono partita alla volta dell’Alto Adige e a farmi compagnia in questi giorni di inizio primavera è stato Kazuo Ishiguro. La lettura del libro però si è conclusa nella mia piccola casa di Milano. Si è rivelato, infatti, un romanzo di non facile lettura ma nel suo complesso geniale!

Il signor Ryder arriva nell’albergo della città in cui giovedì dovrà tenere un concerto. Cittadini, autorità pubbliche, tutti sono in attesa del grande pianista.

Nell’atrio dell’hotel però, nessuno lo attende. Suona il campanello d’argento per annunciare il suo arrivo e mentre Gustav, il facchino, lo accompagna alla sua stanza, Ryder si rende conto di non avere alcuna idea del suo soggiorno né del suo programma, né perché quella città e quelle persone gli sembrino familiari. Per tre giorni Ryder si sveglia senza ricordare nulla del giorno precedente. Saranno gli interventi delle altre persone, che esigono da lui qualcosa, a colmare i vuoti di memoria.

Lo svolgimento della storia segue l’illogicità del sogno e poiché essa è raccontata in prima persona, è facile immedesimarci in Ryder mentre attraversa strade buie o sentieri in mezzo ai boschi, quando si ritrova a una serata di gala in vestaglia.

Le sensazioni sono quelle oniriche, le paure si rivelano ai nostri occhi. Non ci sono punti di riferimento spazio temporali. È solo la fluida narrazione di Ishiguro che ci permette di camminare in questo labirinto senza perdere i fili della trama intessuta.

La scrittura, ricca di dettagli, fa da sfondo all’irrequietezza dei personaggi che parlano a sproposito, fanno domande di cui non interessa conoscere la risposta. Sono privi di senso di comunicazione e pretendono che Ryder curi i loro problemi.

Ma l’arte non ha il compito di curare, dice Ishiguro, essa può solo consolare. È per questo che gli inconsolabili restano tali.

Ryder, con la sua musica, non può curare i loro mali.

Ciò che ha reso difficile la lettura è l’orizzontalità narrativa, l’assenza di climax. La lettura è lenta perché il ritmo è dato dai pensieri e non dalle azioni. Gli inconsolabili, tali perché incapaci di comunicare e ascoltare, sembrano girare a vuoto, arrivare all’improvviso e buttarsi nel mezzo della narrazione.

Alla stessa maniera mi sono sentita io. Mi è sembrato di girare spaesata in un luogo sconosciuto tra esistenza in bilico. Ma è proprio tutto questo in aggiunta alla perfetta penna di ishiguro, che rende questo libro un successo.

554 pagine di libro che si odiano o si amano che possono lasciare a bocca aperta o far sbadigliare.

Io mi sono dovuta fermare spesso, rileggere alcune frasi, entrare a pieno in ogni personaggio e sono dovuta arrivare all’ultima pagina per comprendere la prospettiva di Ishiguro e apprezzarne la genialità.

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La ladra di parole | Abi Dare

La ladra di parole | Abi Dare

La madre di Adunni è come una rosa coi colori del tramonto.
E, se faccio un respiro col naso, sento anche il suo profumo. Quel profumo dolce del cespuglio con le rose che cresce attorno all’albero di menta, del sapone al cocco dei suoi capelli dopo che se li lavava alle cascate di Agan”.

Ma in Nigeria, le rose appassiscono in fretta e muoiono. Figlie di una terra fatta per uomini che calpestano la loro dignità, uccidono i loro sogni. Come quello della piccola Adunni che vuole andare a scuola e diventare un insegnante per avere la voce più forte di tutta la Nigeria. Glielo ha detto la mamma che le parole possono essere importanti, possono cambiare la vita.

Ma il padre questo, forse, non lo sa. Così la vende per poter avere i soldi con cui pagare l’affitto e vivere. Poco importa se l’uomo è violento.
Adunni, nonostante le avversità, riuscirà a fuggire nella capitale dove lavorerà come domestica per Big Mama: una donna forte, che vive della sua attività ma che non riesce a domare un marito che la umilia correndo dietro le gonnelle delle domestiche.
Una rosa piena di spine ma esposta alle intemperie. Fragile come un filo d’erba.
E Adunni, che non si dà per vinta, né ha dimenticato ciò che le disse la madre, si nasconde nella biblioteca di casa per leggere le parole custodite nei libri: la sua fonte di conoscenza, ciò che le dà il coraggio di alzarsi ogni mattina.

E poiché non tutto il male vien per nuocere, grazie agli incontri di Big Mama con alcune vicine, Adunni incontrerà un’altra donna. Diversa dalla sua padrona. Una donna che negli occhi porta il dolore e che, soprattutto, la vede per la prima volta come donna E ognuna di esse, traccerà la sua persona, i suoi pensieri. Con le mani strette, Adunni percorrerà la sua strada.

La ladra di parole, non è solo la storia di Adunni, è la storia di tutte le donne della Nigeria. Un romanzo corale che con un linguaggio semplice arriva dritto al cuore.

Ho trovato perfetta anche la traduzione italiana dall’inglese sgrammaticato della protagonista che anziché allontanarci, ci avvicina a questa ragazzina di soli 12 anni e a tutte le donne come lei.

Un giorno la mia voce si sentirà forte nella Nigeria e nel suo mondo, e allora grazie a me altre ragazze si faranno sentire da tutti, con la loro voce, perché so già che quando finirò di studiare troverò un modo per aiutare anche loro a andare a scuola”.

A tutte le Adunni che hanno il coraggio di cambiare le cose. A quelle voci che decidono di raccontare una storia, la storia di una donna. La storia delle donne. 

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Dove soffiano i venti selvaggi | Nick Hunt

Dove soffiano i venti selvaggi | Nick Hunt

Il viaggio di Nick Hunt inizia con una mappa.

Sai la novità, mi direte.
Ma la novità c’è, ed è che si tratta di una mappa che raffigura isotachie e isobare, aree di alta e bassa pressione. Linee colorate che soffiano dal cielo dando vita a storie e leggende.
La forza del vento Nick la conobbe a 6 anni quando fu letteralmente sollevato da terra restandone sorpreso.
Trent’anni dopo, come un moderno Don Chisciotte, alla mercè delle intemperie, tra paesaggi sempre mutevoli, va a caccia di quattro venti selvaggi: l’Helm, Bora, Fohn e Mistral.

Hunt ci accompagna attraverso l’Inghilterra alla ricerca dell’Helm che infuria lungo la dorsale dei Pennini, procede verso la sognante Trieste affacciata sul mare e gli aspri paesaggi del Carso a caccia di Bora, fino a giungere nella valle del Rodano, nella steppa deserta della Crau, dove si sarebbe trovato a tu per tu con il Mistral in un’area completamente esposta senza possibilità di rifugio.
«Lì, più che in qualunque altro posto, si rivelava lo scopo del mio viaggio. Rimasi là abbastanza a lungo da abituarmi al suo rumore nelle orecchie, al suo fresco attrito sulla pelle, finché mi sembrò il modo in cui il mio corpo si era sempre sentito».

Ma i venti sarebbero arrivati o avrebbero disatteso l’incontro?

“Era evidente che seguire i venti significava seguire l’incertezza, lasciarmi guidare dall’ignoto e dalle illazioni, dall’indovinato e dall’immaginato.”
 

Un reportage che ci porta in terre incontaminate e selvagge, paesini incantati e città nostalgiche. Incontriamo vecchi pastori, marinai, persone che risentono della furia dei loro venti, viandanti, cacciatori di tempeste e altri appassionati di vento.

Scopro che perfino le lingue nazionali non si mettono d’accordo – qua Bora, là Bura, lì Burja – cercando di imprigionare l’imprigionabile dentro confini terreni. E forse non lo sanno che solo le parole possono acchiappare il vento e renderlo vivo sulle pagine scritte. Capaci di ricreare la percezione della natura.
«Più che un suono era una sensazione, una entità senza nome, pura energia, che cancellava ogni confine fra udire e sentire; per la prima volta in vita mia compresi il suono come forza fisica».

Metafora nella metafora, Dove soffiano i venti selvaggi, racchiude il concetto intrinseco di ogni viaggio, la personale ricerca di un incontro, una sensazione, o semplicemente, una risposta.

Come cantava Bob Dylan “The answer, my friend, blowin in the wind”.
In quel vento che scoperchia case ma che allo stesso tempo dona vita e passione.

“Ero venuto per restare solo con il vento, e in assenza di vento ero solo”.

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Divorzio di velluto | Jana Karsaiova

Divorzio di velluto | Jana Karsaiova

“Divorzio di velluto” è ciò che accadde il primo gennaio 1993 quando, dalla scissione della Cecoslovacchia, nacquero gli stati indipendenti di Repubblica Ceca e Slovacchia.

Una separazione pacifica, da qui il termine velluto, che però ha inflitto sofferenze alle persone coinvolte nascondendone le cicatrici. Una divisione che nel romanzo d’esordio di Jana Karsaiova,si riflette nella vita dei personaggi.

Un po’ come quello che accade a Katarìna, rientrata a Bratislava per le feste di Natale. L’incontro con una madre autoritaria e poco incline all’affetto, fanno riemergere dolori e realtà che non possono più essere evitati. Katarìna dovrà affrontare i suoi fantasmi. L’assenza della sorella Dora, ad esempio. Fuggita in America dopo uno scontro con la madre che l’aveva definita “figlia guasta”. Katarìna «l’aveva ammirata e odiata per il suo coraggio, per la determinazione di andare fino in fondo. Per il saper lasciare». Ma erano sole entrambe, ognuna con le loro cicatrici.

Filo conduttore è il rapporto tra la protagonista e il marito Eugen. Il loro amore si consuma troppo in fretta. Si sposano poco dopo cinque mesi e lentamente emergono le differenze: lui ceco, lei slovacca. Lui benestante, lei no.

«Non aveva mai imparato a camminare nel suo mondo a testa alta, gli zoppicava dietro o di fianco con gli occhi rivolti verso il basso. Non era un problema di suo marito. Era lei, il suo modo bucherellato di essere. Era stato sciocco aspettarsi da Eugen che la guarisse, infantile buttargli addosso la responsabilità delle proprie ferite».

Il rientro nella propria terra natìa fa incontrare nuovamente Katarìna e Veira, amiche fin dai tempi della scuola, perse per vecchi dissapori. Con un cambio di narrazione, l’autrice ci presente la storia di Veira, la borsa di studio vinta per studiare in Italia. La scelta coraggiosa e consapevole di separarsi dalle sue origini e preferire la lingua italiana a quella propria. E se da un lato Veira è coraggiosa, non si lascia guidare da regole preconfezionate e rappresenta una sorta di cambiamento, dall’altro Katarìna non riesce a togliersi di dosso le sue insicurezze. Ma anche per lei, dopo il Capodanno passato in Italia, ci sarà un nuovo inizio. Il coraggio di lasciar andare, di ricominciare.

La storia di Katarìna è la storia di ognuno di noi.

Divorzio di velluto è consapevolezza

È aggrapparsi alle proprie radici e imparare quando bisogna mollare la presa.

È mettere da parte vecchi dissapori

È superare le perdite che avvengono durante la nostra esistenza.

È affrontare il dolore e vincerlo.

È il coraggio di lasciare andare.

Leggendolo comprenderete che davvero oltre le nuvole splende il sole e che c’è sempre una possibilità per ognuno di noi.

Basta solo afferrarla.

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Aprile Spezzato | Ismail Kadare

Aprile Spezzato | Ismail Kadare

Ismail Kadare è uno di quegli scrittori albanesi che si conoscono troppo poco e che io ho scoperto grazie al mio viaggio a Tirana con il suo libro dal titolo “Aprile spezzato”.

Aprile è un mese che veste la primavera ma che qui si colora di sangue.  A dominare gli altopiani albanesi, infatti, c’è la legge del Kanun.
Proprio per questa antica legge, Gjiorg Breisha uccide colui che aveva ucciso il fratello e da questo momento la vita di Gjiorg cambia radicalmente.

Sarà lui, infatti, il prossimo a essere ucciso. Una vita per una vita in una Faida che cancella intere famiglie. Ottenuta la besa, ovvero la grande tregua, Gjorg ha solo trenta giorni di vita e prima di poterli “godere” deve andare alla Kulla d’Orosh per pagare l’imposta del sangue.

È il mercato della morte.

Ma dove noi vediamo mercificazione, lo scrittore Besian vede un antico romanticismo. È questo che spiega alla bella moglie Diana mentre attraversano la stessa strada di Gjorg.

Il fugace incontro tra i tre sarà fatale: fatale per il giovane uomo che “avrebbe sempre camminato nella direzione sbagliata, fino a consumare quella manciata di giorni che gli erano rimasti pellegrino sulla luna, nel suo aprile spezzato” e per la giovane coppia che farà sbocciare in Diana una nuova consapevolezza, un nuovo amore capace di annientare ogni credo.

Aprile spezzato è un libro che sa di neve, di un candore macchiato dal rosso sangue e da quello dell’amore.
Sa di freddo, quello mortale, un’ombra su ognuno di noi.

È poesia tra le parole che avvolgono la morte o in quelle che coprono i paesaggi albanesi accompagnandoci in un viaggio nel tempo e nello spazio, cullati dalla penna magistrale di Kadare.

Aprile spezzato è un pensiero sulla vita che cammina sul filo invisibile della morte, è una denuncia al Kanun, ma mai un attacco.

Aprile spezzato è pagine che sanno di Albania, di un paese tanto vicino quanto sconosciuto.
È percorrere le loro strade senza giudizio, ma con rispetto.
Tutti hanno una storia da raccontare e Kadare ci prende per mano conducendoci altrove. In quell’Altrove che è sempre da comprendere.

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Dal tuo terrazzo si vede casa mia | Elvis Malaj

Dal tuo terrazzo si vede casa mia | Elvis Malaj

Il libro è composto da dodici racconti scritti dall’albanese Elvis Malaj, legati tra loro dai temi riccorenti quali la giovinezza e l’identità albanese.

Ogni ragazzo, italiano o albanese che sia, è disorientato, incapace di dare senso alla sua giovane esistenza.

C’è chi inventa scuse per sfuggire a un appuntamento d’amore troppo noioso, chi cerca un posto migliore in cui vivere e chi, come il protagonista dell’ultimo racconto (e a mio avviso il migliore), cerca di sfuggire al blocco dello scrittore arrampicandosi sul terrazzo della vicina per annaffiare le piante ormai quasi secche.

Tutti i racconti sono vestiti di sapiente ironia che non si rivela mai banale ma che, addirittura, diventa un aiuto per affrontare i conflitti interiori e schernire vecchi tabù

Il razzismo non esiste. E siccome non ci credo, col razzismo non ho mai avuto problemi

A questa penna ironica si accompagna il punto di vista dualistico dell’autore stesso, onnisciente e mai giudice.

Interessante è, a mio avviso, l’uso di espressioni, intere frasi o parole in lingua albanese non tradotte e che spingono il lettore a cercarne il significato avvicinandosi ancor di più a questa cultura.

E proprio questo, credo, sia il senso di tutto il libro che può essere riassunto nel titolo stesso “Dal tuo terrazzo si vede casa mia”.
Un annullamento delle distanze e dei preconcetti per avvicinare due paesi che si “guardano” l’un l’altro.

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Leggere Lolita a Teheran | Azar Nafisi

Leggere Lolita a Teheran | Azar Nafisi

In questi giorni in cui, non solo l’Iran, ma il mondo intero piange la morte della libertà, ho deciso di pubblicare la recensione di Leggere Lolita a Teheran
L’Iran uscito dalla penna acuta e sensibile di Azar Nafisi è quello dei decenni successivi alla rivoluzione islamica di Khomeini.
Ma facciamo un passo indietro.

In Iran, il percorso delle donne non è mai stato semplice. Sotto lo Shah, obbligate al laicismo e all’occidentalizzazione, indossare il velo rappresentava una scelta, era il segno di rivolta contro il regime.
Con la Rivoluzione del 1979, invece, l’hijab divenne un obbligo imposto dall’alto. La guerra con l’Iraq non fece che ledere le libertà delle donne e l’imposizione del velo si è trasformata in uno strumento di potere e controllo sulle loro vite.

Nell’autobiografia “Leggere Lolita a Teheran”, l’autrice descrive un paese che, da un lato guardava alla tradizione e dall’altro strizzava l’occhio all’America.
Un paradosso di sé che finisce per distruggere gli stessi ideali per cui aveva precedentemente lottato.

E su questo sfondo, sfilano sotto l’hijab le peccatrici: donne che leccano il gelato o addentano una mela in pubblico in maniera troppo provocante, bambine con le unghie troppo lunghe, studentesse col mascara e altre che vorrebbero leggere libri messi al bando.

In un clima di proibizioni, armata di libri, Azar Nafisi, insegnante presso l’università di Teheran, conduce la propria lotta contro il regime.
Il suo esercito è composto da sette studentesse coraggiose che ogni giovedì si riuniscono nel soggiorno di casa sua. Si spogliano del velo e dei divieti per indossare i colori e la libertà. Dialogano e polemizzano.
Tra te e pasticcini, l’analisi dei romanzi occidentali svela la realtà.
I personaggi si fanno persone.

Lolita, la cui vita è stata rubata e imprigionata da un individuo è come quelle donne violate del proprio pensiero, della propria autodeterminazione da parte del censore.
Le eroine descritte dalla Austen, capaci di rivendicare sé stesse e scegliere che vita vivere, chi amare, chi essere rappresentano quelle donne rese invisibili da un velo, da un regime che non vuole vederle, ma capaci di lottare.
E infine c’è lui, il simbolo del desiderio, “ Il Grande Gatsby”. L’imputato finito sotto processo in un’aula dell’Università con tanto di giudice e avvocati. Sarà questo libro a svelare la storia dell’Iran, sogno perduto e tradito.

Questo libro è tanti libri in uno solo.
È il simbolo della ribellione, del coraggio.
È un viaggio nella storia di un paese lontano la cui memoria storica è antica.

È resistenza, è una voce che urla. È un omaggio alla letteratura, alla forza delle storie.

Ma soprattutto è DONNA.

Non dovremmo mai dimenticare il privilegio che abbiamo ad essere nate donne in un paese libero.
E fare, di questo privilegio, un grido.
Un diritto, un abbraccio, un atto di coraggio.
Una presa di coscienza e una lotta contro il “censore cieco”.

Chiudo con le parole dell’autrice. Una bellissima dichiarazione d’intenti e libertà.
<< Voglio scrivere un libro in cui ringrazio la Repubblica islamica per tutto quello che mi ha insegnato – ad amare Henry James e Jane Austen e il gelato e la libertà>>.

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