Pubblicati da Cristina

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Grande Madre Acqua | Živko Čingo

Grande Madre Acqua | Živko Čingo

1946, è finita la Seconda Guerra Mondiale e, in seguito a un colpo di Stato, il generale Tito è il presidente della Jugoslavia alla quale vengono annessi anche i territori macedoni con il nome di Repubblica Popolare di Macedonia.
“Un territorio senza fissa dimora”, come dice Marcoandrea Spinelli  nella prefazione. Un territorio in cui l’identità è una cosa complicata da spiegare. È in questo contesto che si inserisce il libro “Grande Madre Acqua” di Živko Čingo.

Dalle ceneri della Seconda guerra mondiale la popolazione ne è uscita orfana e in miseria, soprattutto in campagna dove, a sopravvivere, ci sono solo orfani e anziani che non sono in grado di mantenere i più giovani.  
Sono tutti soli.
Tutti hanno perso qualcuno o qualcosa e in questa dimensione di solitudine si inseriscono le esistenze di Lem e Keïten, affidati all’orfanotrofio “Chiarezza”.

Sotto la direzione del Piccolo Padre, il compagno Ariton Iakovleski, dell’educatrice Olivera Srezoska e del Campanaro, l’orfanotrofio diviene una prigione. Una trappola per chi vorrebbe volare oltre quel muro che segna i confini netti con la vita che cresce là fuori. Lì dove trovare la Grande Madre Acqua, unica grande consolazione per Lem e Keïten, l’unica capace di infondere loro speranza.

Eppure Lem, rischia di non vederla questa Madre Acqua, di non sentirne il tepore sulla pelle nelle notti d’inverno mentre i pidocchi si impossessano di ogni centimetro di pelle. È Keïten a mostrargli la via; Keïten che non ha paura di ridere, che si perde in un mondo tutto suo, che non teme le percosse per i sogni che è proibito sognare. Amicizia e fantasia sono le uniche ancore di salvezza in uno spazio di soprusi e crudeltà.

Leggendo” Grande Madre Acqua” impareremo che non sempre la distinzione tra vittima e carnefice è così definita e ci sorprenderemo a provare compassione per quei personaggi crudeli che, a loro volta, sono state vittime di quel sangue versato nelle terre balcaniche.

“Allora anche lui possedeva un paio di lacrime sincere! Anche nel suo cuore si era conservato intatto un posticino per il vento e le altre follie! Che io sia maledetto, istintivamente gli credetti. Non è forse vero che ciascun cuore umano, per quanto gelido e impenetrabile, possiede delle gocce di pioggia primaverile?”.

Attraverso uno stile evocativo e l’uso sapiente di metafore e immagini, Živko Čingo ci rimanda a una dimensione dolorosa che, però, porta con sé il profumo di libertà e il vento di speranza. Come quell’acqua, la grande madre acqua, effimera ma concreta.

E in fondo, forse, era davvero davanti agli occhi di Živko Čingo; in quegli stessi occhi che si specchiavano nel lago Ohrid: sua ultima dimora, sua ultima speranza.

“L’immagine della Madre Acqua non si dimentica mai. Con lei il richiamo irresistibile del Monte Senterlev acquistava un senso reale, come se questo sogno meraviglioso e magico fosse possibile, realizzabile. (..) La custodivo profondamente nascosta nel cuore, come qualcosa di molto caro, come il viso di mia madre.”

Grande Madre Acqua è un gioiello della letteratura macedone, una carezza e un dono. Fatevi questo regalo.

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Praga Magica | Angelo Maria Ripellino

Praga Magica | Angelo Maria Ripellino

Praga Magica di Angelo Maria Ripellino

Uno dei più grandi capolavori di Ripellino è senza dubbio Praga Magica.

La recensione di questo libro non è stato affatto semplice; più volte avrei voluto interrompere la lettura per lo stile troppo elegante e ricercato, tipico del nostro poeta e traduttore Angelo Maria Ripellino.

Eppure, abbandonarlo, avrebbe significato perdersi la storia e il fascino che nessuna guida turistica potrà mai restituirci.

Ogni volta che leggiamo un libro ci trasportiamo in un’altra dimensione e, sin dai tempi più antichi – basti pensare all’Odissea –  il viaggio è stato il topos letterario per eccellenza, un movimento inteso come cammino e scoperta di sé.

Con l’avvento della narrativa di viaggio si è potuto raccontare l’altro discostandosi dal mero libriccino informativo. Ecco, quindi, che questa letteratura assume le forme di un sogno, di un cammino, di incontro con l’altro, di innamoramento.

Perché è questo che è Praga magica: una lettera d’amore alla città delle cento torri. 

In “Praga magica” affiora tutto il mistero e il fascino della capitale boema, una città che, come una fenice, è risorta dalle ceneri della Primavera di Praga prima e della seconda guerra mondiale dopo.
In queste pagine si legge di eventi storici, creature misteriose e personaggi che hanno affollato le strade della capitale ceca.

“Entrino infine nelle mie pagine i funamboli, i clowns, i domatori, i cavallerizzi, i ventriloqui, gli uomini serpenti, i trapezisti, gli acrobati, gli inghiottitori di spade, le esmeralde, i prestigiatori che gremiscono le tele e i disegni di Frantisek Tichy”.

Attraverso la penna sapiente di Ripellino ogni personaggio sembra prendere vita.

Mi sono sentita presa per mano da Kafka lungo le vie di Stare Mesto, ho bevuto una birra alla Tigre d’oro insieme a Hrabal, disquisendo di autori vivi e morti.
Ho atteso di vedere il Golem, figura leggendaria di Praga e ho respirato la magia di questi luoghi.

In questo libro, Praga diviene il luogo delle emozioni, un ponte temporale dove niente è lasciato in disparte: né le lingue parlate, né il quartiere di periferia.

“Non avrà fine la fascinazione di Praga […] Praga, non ci daremo per vinti. Fatti forza, resisti. Non ci resta altro che percorrere insieme il lunghissimo, chapliniano cammino della speranza”.

Buon viaggio cari viaggialettori, e che la magia di Praga vi guidi attraverso le sue strade. 

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Anna sta coi morti | Daniele Scalese

Anna sta coi morti | Daniele Scalese

Anna sta coi morti

Letteralmente, perché prima della malattia, Anna lavorava all’obitorio; sottoterra, al piano meno uno. Adesso Anna attende di morire a causa di una leucemia linfoblastica acuta.

Dovrebbe sottoporsi alla chemioterapia, ma la rifiuta perché ciò metterebbe a rischio la vita del bambino che porta in grembo. Sceglie da sola, senza chiedere il parere di Enzo, il suo compagno, voce narrante e suo sostituto in obitorio.

<<Guardiamo i morti per capire i vivi”. La morte ci rivela. L’obitorio è un edificio per identificare i cadaveri. Io non sapevo chi ero . La mia non era una crisi di identità ma una sua ricerca. Era quello il luogo in cui dovevo essere. Quel luogo serviva a riconoscere me. Che non fossi morto era solo un dettaglio. Come dice Alberto: la differenza tra un vivo e un morto sta solo nel posizionamento al di sopra o al di sotto della terra>>.

E Enzo, morto, lo sembra davvero, ancorato a un passato che graffia la pelle. L’abbandono del padre e la morte della sorella Eva sono traumi cuciti addosso; bruciano, sembrano vivi.

Talmente pesanti da comprimere l’aria e lasciarlo soffocare, fino ad allontanarlo dalla madre e costringendolo a colmare vuoti attraverso incontri con vedove compiacenti e il lavoro in obitorio.

È questo il luogo perfetto in cui nascondersi dalla morte che colpisce Anna, che assottiglia il suo corpo, che la fa sanguinare. Un posto in cui rifugiarsi mentre il loro rapporto crolla in mille pezzi. In ogni frammento il riflesso dell’attesa, delle paure e della morte, compagna invisibile della nostra vita.

E Anna?

Anna scrive sul suo profilo social della malattia, dà conforto ai malati come lei. Spinta da Enzo, parteciperà a un programma televisivo “Ricordati di santificare i vivi” nel quale si racconta. Si mostra forte davanti ai suoi spettatori, si cala perfettamente nel ruolo del guru che mostra tutto il suo coraggio e l’autocontrollo, a metà tra esposizione mediatica e intimità.

Infatti, è lontano dalle telecamere che Anna mostra il suo lato più triste. È a Enzo che fa vedere la parte vera, fatta delle conseguenze di una malattia che umilia il corpo e lacera la dignità.

Il consumismo è il tentativo di riempire un vuoto interiore con le cose; la relazione fa lo stesso con le persone. Tutto nasce da un vuoto. Ne riempi uno e ne formi un altro. Ma fare un figlio non riempirà il vostro vuoto: lo allargherà.

E se nemmeno il figlio può salvare la loro relazione, la malattia ha portato a galla tutte le fragilità e le debolezze mai superate.

Forse Anna non ama più Enzo, forse Enzo ha già smesso di amare Anna.

È tutto sottosopra. Tutto come non doveva essere.
E intanto Anna aspetta di morire.
Enzo aspetta.
Il mondo aspetta.

E la difficoltà non sta nell’accettazione della morte ma in quel processo che va di pari passo con l’attesa, ovvero, prepararsi alla perdita e accettarne tutte le conseguenze.

Forse l’atto più difficile richiesto all’essere umano.

Anna sta coi morti è 150 pagine pregne di dolore, malattia, morte e sensi di colpa. Una scrittura scarna che racconta l’essenziale e concentra intere esistenze. Parole che raccontano silenzi. Pagine che sono lame affilate che tagliano la pelle costringendoti a guardare fino a scorgere il fondo di quella lacerazione. E mentre anneghi in quel mare di dolore, non puoi chiederti perché stai annegando, ma come tirarti fuori.

È così che si sopravvive. È così che si vive.

Grazie alla scrittura diretta e senza fronzoli di Scalese, la lettura è molto scorrevole. L’autore pone l’accento sul tempo dell’attesa.

L’attesa della fine. L’attesa della vita stessa.

Un romanzo che ci ricorda quanto possa essere amara l’intimità non rivelata sui media e quanto coraggio serva per guardare i pezzi rotti della propria vita accettando il dolore di ciò che è e ciò che sarà.

Forse aveva ragione Emilia, la morte non è uno degli aspetti della vita: è la vita a esserlo rispetto alla morte.

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