Arabia Felix | T. Hansen
Siamo nel tardo 1700, il periodo dei lumi, quando il re danese Federico V invia una spedizione in Arabia Felix con l’intento di scoprire i costumi delle popolazioni medio orientali, le religioni, la lingua, la storia e la esatta collocazione geografica.
Ne fanno parte l’emerito linguista Von Haven al quale è altresì affidato il compito di cercare antichi manoscritti biblici e decifrare le antiche iscrizioni sul Monte Sinai, ovvero i Dieci Comandamenti,
il naturalista svedese Forsskal, allievo del famoso Linneo, che ha il compito di raccogliere e descrivere tutte le specie vegetali e animali che inconterà,
Baurenfeind il quale dovrà incidere e dipingere ciò che i suoi occhi vedranno,
lo svogliato dottor Kramer e infine Carsten Niebuhr, umile agrimensore della Frisia che sarà colui il quale misurerà le distanze tra le città da lui visitate.
La domanda più importante che tutti si pongono però è perché l’Arabia Felix sia un luogo felice.
Il viaggio è appena iniziato, la nave è salpata dal porto di Copenaghen, Von haven e Forsskal si affrontano, i cinque caratteri emergono con prepotenza e ci vorrà un anno prima che si trovi un equilibrio e le antipatie si affievoliscano.
I paesaggi mutano, siamo nell’Atlantico, poi nello Stretto di Gibilterra, infine nel Canale di Suez luogo dal quale la spedizione giunge ad Alessandria d’Egitto e il vero viaggio può finalmente avere inizio. I membri della spedizione restano sconvolti dinanzi alla maestosità delle piramidi e dalle meraviglie del luogo. Iniziano a vestire come gli arabi, a mangiare i loro cibi, a imparare la loro lingua.
Non basta andare in giro vestiti da Arabi, o parlare arabo. Bisogna anche vivere alla maniera degli Arabi, mangiare il loro cibo, dormire sulle loro stuoie di paglia
Per Von Haven e Niebuhr la missione invece procede verso il Sinai dove l’illustre linguista farà mostra della sua inettitudine risalendo perfino il monte sbagliato. La mancanza di capacità di adattamento sarà fatale per Von Haven. Di ritorno dalla missione, senza che se ne rendano conto, i due uomini viaggiano insieme alla malaria, malattia letale poco conosciuta dagli europei del tempo.
Dopo quasi due anni di viaggio e svariate vicissitudini, gli esploratori arrivano finalmente in Arabia Felix, l’attuale Yemen.
L’esplorazione dell’Arabia Felix può avere inizio.
Tutto appare come un sogno, il popolo si dimostra accogliente, la natura e il paesaggio lasciano sbalorditi. Forse è per questo che è un luogo felice.
Ma la verità è che la felicità è effimera e in poco tempo anche gli indigeni si dimostrano riluttanti nei loro confronti.
Tra gli scienziati partiti per la spedizione, solo uno farà ritorno a Copenaghen. Si tratta del più umile fra tutti gli uomini, quello che sin da piccolo ha dovuto lottare per la sua vita, per i suoi studi, le sue ambizioni in una piccola città della Fresia. L’unico in grado di adattarsi ai cambiamenti.
sembrava quasi nato per viaggiare in Arabia. Raramente mostrava insofferenza per la mancanza di comodità
Il ritorno di Niebuhr si rivela un viaggio nel viaggio, fatto di passione, emozione e scoperta. Da San’a, devia a Bombay, poi in Persia, Siria, Turchia ed è pura poesia.
Infine passando per Bucarest, Moldavia e Valacchia, l’agronomo fa ritorno in Danimarca.
Dopo aver scoperto che tanto del materiale inviato è andato perduto o peggio, dimenticato negli archivi, Niebuhr rifiuta ogni onorificenza e si trasferisce a Meldorf come cancelliere. Non smetterà mai di misurare terra e cielo, tornerà nella sua dolce e amara Fresia e qui, cieco e paralizzato, ancora per un’ultima volta vedrà le stelle.
Non è forse questa la felicità?
È questa la vera scoperta di un’intera spedizione verso quello che doveva essere un luogo felice, la cui leggenda si basa su un equivoco, un errore di traduzione. Ma non voglio svelarvi oltre.
Ciò che importa è che nonostante l’arrivo alla meta predestinata, nonostante le scoperte di nuovi paesi, e la continua sete di conoscenza, Caster Niebhurn si sia addormentato felice nelle amate campagne della sua Fresia.
Quanti di noi, ogni giorno, cercano la felicità in una passione, in un amore, andando di luogo in luogo?
Ma la verità è solo una: tutto ciò che cerchiamo fuori, è già dentro di noi.
Perché se la felicità si trovasse anche solo nel paese più lontano e il viaggio per raggiungerlo comportasse i più grandi rischi e potesse essere intrapreso solo a prezzo dei peggiori sacrifici, partiremmo comunque subito. Perché sarebbe in ogni caso più facile raggiungerla là che non nell’unico posto dove si trova davvero, il posto che è più vicino del paese più vicino eppure è più lontano del paese più lontano, perché questo posto non si trova fuori, ma dentro di noi.
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