Anna Karenina |Lev Tolstoj
Se la quarantena ha prodotto qualcosa di buono, una di queste è stato il “tempo di avere tempo”.
Tempo, ad esempio, per dedicarmi a letture più complesse quali “Anna Karenina”. Questo romanzo era sulla mia libreria da molti anni, comprato addirittura quando ancora esisteva la lira. Probabilmente a 12 anni non avrei saputo apprezzarlo quanto oggi.
Non spaventino le quasi 900 pagine del libro, esso è un “mattone musicale”, frutto della genialità di Tolstoj.
Anna Karenina, pubblicato nel 1877, nacque come romanzo d’appendice. Il romanzo, infatti, apparve a puntate sul periodico russo Russkij vestnik nel 1875.
Sfogliamo le prime pagine del romanzo e facciamo la conoscenza di Dar’ja alle prese con la scoperta del tradimento del marito Stepan Arkadevic. Intanto Levin torna dal suo esilio volontario campestre per chiedere la mano del suo unico vero amore: la principessa Kitty, la quale, nel frattempo, sembra pronta a cedere al corteggiamento del giovane e affascinante conte Vronskij. Da Pietroburgo, giunge a Mosca Anna Karenina per tentare di salvare il matrimonio del fratello Stepan. Attorno alla sua esistenza ruoteranno tutte le altre. Ogni vita sarà toccata e stravolta, in piccola o grande misura, da Anna, giovane e affascinante signora del gran mondo, sposa dell’ufficiale governativo Aleksej Karenin e madre di Sereza. Il romanzo prosegue descrivendo l’incontro tra Anna e il conte Vronskij e il sentimento che ne seguirà.
Sarebbe riduttivo considerare l’intera opera come il racconto dello struggente e distruttivo sentimento che lega Anna e il conte Vronskij sullo sfondo di una Mosca troppo ligia alle regole e di una Pietroburgo più libertina, entrambe incorniciate dalla vita di campagna.
La grandezza di questo romanzo risiede nella semplicità con cui viene narrata la complessità dell’animo umano. Tolstoj, infatti, descrive minuziosamente i pensieri e le emozioni, ora di un personaggio, ora dell’altro. Pensieri che cambiano in funzione delle circostanze e dell’evolversi della storia.
La caratterizzazione di ogni personaggio è grandiosa, stratificata. Impossibile non pensare che tutto quello che leggiamo non sia reale.
Il realismo, di cui l’intera opera è permeata, si arricchisce di metafore. Basti pensare alla bufera di neve che investe Anna mentre si trova sul treno, presagio di ciò che sarebbe accaduto; oppure al significato intrinseco della stazione ferroviaria come transitorietà della vita umana o rifugio dalle asprezze della vita.
Non è un caso che Tolstoj si sia lasciato morire proprio nella cara stazione ferroviaria di Astapovo.
Ciò che più sorprende è la ricchezza di dettagli. Mi viene in mente il momento in cui Anna, nella scena finale, è ipnotizzata dal treno e ci vengono descritte con minuzia le rotaie misto ghiaia e carbone, le viti, le bielle e le catene.
Si potrebbe quindi definire prolisso il romanzo di Tolstoj?
No, tutto acquista senso perché ogni cosa è incanalata in una struttura ingegnosa che si riflette nell’opposizione costante di alcuni elementi: città-campagna, Mosca-Pietroburgo, Russia-Europa, società moderna-società patriarcale fino ad arrivare all’opposizione per eccellenza: Levin e Anna o anche vita e morte. Entrambi sono preda dell’amore nella sua forma più assoluta. Ma mentre Levin, più volte pronto a premere il grilletto, si affanna nella ricerca del senso della vita e di Dio afferma << E io ero alla ricerca di miracoli, mi lamentavo di non vedere un miracolo che mi poteva convincere. E invece eccolo qui, il miracolo, l’unico miracolo possibile, che c’è da sempre, che mi circonda da tutte le parti e non me n’ero mai accorto>> trovando la salvezza proprio nella quotidianità e nell’amore verso gli altri e la natura, Anna, invece, il senso non lo trova. Si lascia sopraffare da questo amore travolgente ma non lo riconosce come salvifico. Incapace di perdonare sé stessa per aver abbandonato suo figlio, Anna scivola lentamente nell’abisso dell’autodistruzione. Il parallelismo tra i due protagonisti, Anna e Levin, ha ragion d’essere proprio in questa pulsione della morte che si confronta con la vita vera, quella che vive sopra ogni cosa
In questa eterna opposizione il romanzo raggiunge l’apice della perfezione.
Non potrei descrivere diversamente questo libro che, a pieno titolo, è tra i grandi classici della letteratura.
Tolstoj ha scritto un capolavoro con un linguaggio fluido che arriva a chiunque, affrontando in 900 pagine temi che un uomo affronta in un’intera vita: amore, perdono, fede, vita, morte.
Sul senso di questo romanzo se ne è tanto discusso, io credo che esso sia tutto raccolto in quel senso di colpa imperdonabile che lacera nel profondo.
Tanto altro avrei potuto aggiungere, e tante altre cose sono state scritte da molti prima di me.
Io ho voluto solo lasciarvi il pensiero di una viaggialettrice che, davanti a un capolavoro della letteratura, nulla può aggiungere se non citare proprio lui, il grande Tolstoj
<<Se volessi dire con un discorso tutto quello che intendevo esprimere con il mio romanzo, dovrei riscrivere da capo lo stesso romanzo che ho scritto>>.
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